Come sapete da oltre 10 anni collaboro con la Fundación Universitaria Iberoamericana scrivendo nel blog di Salute e Nutrizione, oltre che come tutor degli alunni dei Master in Nutrizione e Dietetica patrocinati da questa organizzazione internazionale.

Oltre a tematiche piú strettamente relazionate con la dietética, mi piace spesso condividere riflessioni circa l’Alimentazione Consapevole (Mindful Eating) e i fattori che possono alterarla.

Dopo il precedente identikit della fame mentale, mi sembrava doveroso approfondire la fame emotiva, anche detta piú volgarmente fame nervosa. Anche questo tipo di fame non é altro che un prodotto della nostra mente e non dello stomaco. E ahimé porta ad alimentarci non tanto spinti da sensazioni fisiche di fame, sazietá, pienezza gastrica o “appetito cellulare”, bensí dalle nostre emozioni.

Quante volte abbiamo scontato i nostri dolori o frustrazioni mangiando compulsivamente alimenti che ci danno conforto, solo per sentirci meglio?

Magari per vincere la noia o la solitudine, o per consolarci dopo una rottura amorosa, un lutto o semplicemente una giornata difficile al lavoro.

Questi sono tutti esempi di fame nervosa e alimentazione emotiva.

Il cibo che sostituisce l’equilibrio emotivo

Esistono diversi elementi che ci consentono di distinguere la fame nervosa dalla fame fisiologica (cioè dallo stomaco o dalla fame cellulare) (vedi Figura).

L’elemento identificativo fondamentale è che la fame nervosa è legata alle nostre emozioni. In effetti, sebbene il termine fame nervosa sia il più frequentemente usato per descrivere questo fenomeno, sarebbe più corretto chiamarlo piú genericamente fame emotiva.

Stress, ansia, tristezza, rabbia, una brutta giornata di lavoro, noia o frustrazione … persino euforia o momenti di intensa felicità, anche se con meno frequenza. Qualsiasi situazione che influenzi il nostro stato d’animo e in una certa misura ci “squilibri” emotivamente, potrebbe essere un buon fattore scatenante per questo tipo di fame.

Nonostante questo aspetto inconfondibile all’origine della fame nervosa, non siamo sempre consapevoli che in situazioni simili a quelle sopra descritte, mangiamo nel tentativo di riempire un vuoto che non è nello stomaco, se non nel cuore.

La compulsione che ci spinge a mangiare senza fame reale di solito nasconde una difficoltà nel riconoscere che stiamo provando delle emozioni “difficili”. Se non siamo consapevoli che mangiamo per “tappare” un certo malessere, ci sará ancora piú difficile gestire ció che sentiamo andando a identificare l’origine e apportando cambi alla nostra vita.

In effetti, il cibo riconfortante (Comfort Food) che assumiamo nei momenti di fame nervosa funziona come una cortina di fumo che non ci consente di vedere il vero problema che ci provoca lo squilibrio emotivo. Nella maggior parte dei casi, è semplicemente il sintomo di un “vuoto” non gastrico se non di una insoddisfazione in altri aspetti della nostra vita.

Spesso il nostro modo di mangiare riflette il modo in cui viviamo e il modo in cui gestiamo le nostre emozioni.

É quindi importante riconoscere che quando abbiamo difficoltà a riconoscere e gestire le nostre emozioni, è più probabile che l’atto di mangiare si trasformi in un tentativo cieco e poco efficace di prendersi cura di noi stessi alleviando il disagio diffuso. Giacché il cibo che mettiamo nello stomaco non riempirà quel “buco” che sentiamo, né calmerá il disagio del nostro cuore.

 

Cibo ed emozioni: una relazione di lunga durata

La stretta relazione tra le nostre necessitá emotive e il cibo inizia in tenera età.

Quando un neonato piange, gli vengono offerte le prime poppate con l’intenzione di saziarlo, ma anche di confortarlo, riscaldarlo, rassicurarlo, coccolarlo, comunicargli presenza e affeto. I genitori sanno che la causa del pianto non sempre é la fame, ma non riescono ancora a interpretare a pieno i segnali di quell’esserino “sconosciuto” e agiscono per tentativi. Inoltre, il bambino allattato al seno trova conforto e il cibo diventa così un’esperienza che unisce e rassicura tanto i genitori come il piccolino.

Ma l’associazione malessere-cibo riconfortante non succede solo con i neonati.

Quante volte abbiamo visto genitori o nonni che promettevano a un bambino giá grandicello un gelato al cioccolato o altre ghiottonerie nel tentativo di confortare il suo pianto o una frustrazione?

Il cibo, quindi, non perde la sua capacità di confortare.

Ed é cosí che ci ritroviamo a reiterare questa associazione anche da adulti.

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