Uno stato permanente di stress psicofisico provoca cambi ormonali che non vanno affatto sottovalutati. In primis l’aumento cronico dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress per eccellenza. Nonostante abbia un effetto lipolitico, gli effetti del cortisolo sul dimagrimento sono controversi mentre ben piú evidenti sono gli effetti deleteri sulla salute. E’ quindi bene cercare di tenere sotto controllo lo stress.

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Come sapete da oltre 10 anni collaboro con la Fundación Universitaria Iberoamericana scrivendo nel blog di Salute e Nutrizione, oltre che come tutor degli alunni dei Master in Nutrizione e Dietetica patrocinati da questa organizzazione internazionale.

Oltre a tematiche piú strettamente relazionate con la dietética, mi piace spesso condividere riflessioni circa l’Alimentazione Consapevole (Mindful Eating) e i fattori che possono alterarla.

Dopo il precedente identikit della fame mentale, mi sembrava doveroso approfondire la fame emotiva, anche detta piú volgarmente fame nervosa. Anche questo tipo di fame non é altro che un prodotto della nostra mente e non dello stomaco. E ahimé porta ad alimentarci non tanto spinti da sensazioni fisiche di fame, sazietá, pienezza gastrica o “appetito cellulare”, bensí dalle nostre emozioni.

Quante volte abbiamo scontato i nostri dolori o frustrazioni mangiando compulsivamente alimenti che ci danno conforto, solo per sentirci meglio?

Magari per vincere la noia o la solitudine, o per consolarci dopo una rottura amorosa, un lutto o semplicemente una giornata difficile al lavoro.

Questi sono tutti esempi di fame nervosa e alimentazione emotiva.

Il cibo che sostituisce l’equilibrio emotivo

Esistono diversi elementi che ci consentono di distinguere la fame nervosa dalla fame fisiologica (cioè dallo stomaco o dalla fame cellulare) (vedi Figura).

L’elemento identificativo fondamentale è che la fame nervosa è legata alle nostre emozioni. In effetti, sebbene il termine fame nervosa sia il più frequentemente usato per descrivere questo fenomeno, sarebbe più corretto chiamarlo piú genericamente fame emotiva.

Stress, ansia, tristezza, rabbia, una brutta giornata di lavoro, noia o frustrazione … persino euforia o momenti di intensa felicità, anche se con meno frequenza. Qualsiasi situazione che influenzi il nostro stato d’animo e in una certa misura ci “squilibri” emotivamente, potrebbe essere un buon fattore scatenante per questo tipo di fame.

Nonostante questo aspetto inconfondibile all’origine della fame nervosa, non siamo sempre consapevoli che in situazioni simili a quelle sopra descritte, mangiamo nel tentativo di riempire un vuoto che non è nello stomaco, se non nel cuore.

La compulsione che ci spinge a mangiare senza fame reale di solito nasconde una difficoltà nel riconoscere che stiamo provando delle emozioni “difficili”. Se non siamo consapevoli che mangiamo per “tappare” un certo malessere, ci sará ancora piú difficile gestire ció che sentiamo andando a identificare l’origine e apportando cambi alla nostra vita.

In effetti, il cibo riconfortante (Comfort Food) che assumiamo nei momenti di fame nervosa funziona come una cortina di fumo che non ci consente di vedere il vero problema che ci provoca lo squilibrio emotivo. Nella maggior parte dei casi, è semplicemente il sintomo di un “vuoto” non gastrico se non di una insoddisfazione in altri aspetti della nostra vita.

Spesso il nostro modo di mangiare riflette il modo in cui viviamo e il modo in cui gestiamo le nostre emozioni.

É quindi importante riconoscere che quando abbiamo difficoltà a riconoscere e gestire le nostre emozioni, è più probabile che l’atto di mangiare si trasformi in un tentativo cieco e poco efficace di prendersi cura di noi stessi alleviando il disagio diffuso. Giacché il cibo che mettiamo nello stomaco non riempirà quel “buco” che sentiamo, né calmerá il disagio del nostro cuore.

 

Cibo ed emozioni: una relazione di lunga durata

La stretta relazione tra le nostre necessitá emotive e il cibo inizia in tenera età.

Quando un neonato piange, gli vengono offerte le prime poppate con l’intenzione di saziarlo, ma anche di confortarlo, riscaldarlo, rassicurarlo, coccolarlo, comunicargli presenza e affeto. I genitori sanno che la causa del pianto non sempre é la fame, ma non riescono ancora a interpretare a pieno i segnali di quell’esserino “sconosciuto” e agiscono per tentativi. Inoltre, il bambino allattato al seno trova conforto e il cibo diventa così un’esperienza che unisce e rassicura tanto i genitori come il piccolino.

Ma l’associazione malessere-cibo riconfortante non succede solo con i neonati.

Quante volte abbiamo visto genitori o nonni che promettevano a un bambino giá grandicello un gelato al cioccolato o altre ghiottonerie nel tentativo di confortare il suo pianto o una frustrazione?

Il cibo, quindi, non perde la sua capacità di confortare.

Ed é cosí che ci ritroviamo a reiterare questa associazione anche da adulti.

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INFORMATI SUI PROCESSI CHE ACCOMPAGNO!  Contattami

In questo post condivido le riflessioni emerse dalla mia partecipazione al I Incontro Internazionale di Essential Coaching  con un intervento intitolato “Chi si siede a tavola? Lo sguardo rivolto all’essenzialitá nella relazione con il cibo” (video sottotitolato in italiano disponibile sul mio canale Youtube).

L’alimentazione è un aspetto fondamentale della vita e per la vita. Ci accompagna durante la vita dal momento 0 (con il primo allattamento da neonati) e incluso da ancor prima (nutrizione intrauterina) e non possiamo sfuggire a questo aspetto della vita nemmeno nei giorni di digiuno.

Il nostro modo di alimentarci – ciò che io chiamo la propria Biografia Alimentare – ha molto da raccontarci su noi stessi. Ci parla di come ci trattiamo, di come ci prendiamo cura di noi stessi o di come ci trascuriamo, di ciò che ci permettiamo e ciò che non ci permettiamo di essere. Di ciò di cui abbiamo paura e di ciò di cui abbiamo fame davvero.

Da ciò nasce l’importanza e la ricchezza di avvicinarci al nostro rapporto col cibo attraverso uno sguardo profondo, integrativo e rivelatore di aspetti occulti, come quello proposto dall’Essential Coaching.

Domande “essenziali”

Dato che si trattava di un incontro sul Coaching [e il Coaching vive di domande!] decisi di non fare un discorso con idee preconcette già masticate da me. Invitai gli ascoltatori a rivolgere la loro attenzione su se stessi, lasciarsi toccare dalle domande che avrei condiviso e a osservare le risposte che sorgevano loro. Condivido qui le stesse domande invitando il lettore all’esperienza di osservare le proprie risposte, senza giudicarsi, e prendere atto di ciò che scopre di se stesso.

Prima di metterti a tavola, di solito:

Ti domandi “Ho fame?”

Ti consulti con te stesso per verificare se e quanto sei affamato?

O inizi a mangiare automaticamente?

Ti capita spesso di chiedertelo o non ti poni domande così basilari?

Come mai?

Continua a osservarti:

Quando ti chiedi “Sono affamato?” Dove vai a cercare la risposta? Dove cerchi la fame?

Forse per te, la fame si manifesta come una sensazione fisica – cioè, la cerchi nel corpo: magari nello stomaco, o nella gola, o forse la noti attraverso un aumento della salivazione in bocca. O forse la fame per te è un concetto, e la cerchi nella mente …

Cosa ti dice di te ciò che hai appena osservato?

In che misura abiti il tuo corpo?

Quanto, al contrario, vivi nella tua testa?

Altre domande:

Di cosa hai fame?

Molte volte la fame è un indicatore di altre necessità che non sfamiamo abbastanza. Per questo motivo può capitare di confondere per fame fisiologica la necessità di soddisfare altri bisogni, come il bisogno di amore, di connessione con gli altri, di allegria (fame emotiva), il bisogno di sapere e conoscenza (fame mentale), di bellezza (fame visiva), di profumi (fame olfattiva), giusto per fare qualche esempio. Approfondire i diversi livelli di nutrizione di cui abbiamo bisogno e iniziare a discernere di cosa siamo realmente affamati è un passo fondamentale per non saziare altre carenze attraverso un eccesso di alimentazione.

Non si tratta quindi di mettersi semplicemente a dieta, si tratta di capire cosa si vuole mitigare mangiando di più.

E infine:

Sei consapevole dei pensieri che nascono nella tua mente in relazione al cibo?

Se sì, cosa ti dici?

Possono essere giudizi, pensieri indulgenti o anche entrambe le cose contemporaneamente, in un dialogo interno a più voci.

[Esempi … “Non so resistere al cibo, sono troppo golos@” , “se inizio a mangiare mangerò tutto”, “ho bisogno di dieta perché sennò perdo il controllo sul cibo”, o “il cibo a me non interessa, io sono molto intellettuale”, “io sono così, io sono colà” ecc…].

Conoscere e riconoscere la complessità del nostro Io interiore, identificare il dialogo di voci e pensieri che ci assalgono più frequentemente intorno al cibo ci aiuta a saperne di più e a sbarazzarci di modelli che ripetiamo automaticamente e incoscientemente ogni giorno. Il nostro cibo non è niente di più o niente di meno che il riflesso del nostro modo di vivere (teoria dei frattali).

I 3 livelli di intervento nutrizionale

Dove voglio arrivare con tutte queste domande?

Sappiamo tutti che nel mondo occidentale il rapporto col cibo si è andato viziando, che siamo più “cicciottelli” che mai (in termini  di popolazione) e che ciò incide negativamente sulla nostra salute. Ma diversi sono gli approcci per affrontare uno stesso tema.

Intervento di primo livello: conduttuale-comportamentale

Un modo per affrontare il problema, oggigiorno il ​​più comune ma anche il più superficiale e con scarsi risultati nel lungo percorso, è l’intervento di tipo conduttuale-comportamentale che riassumerei così:

Ho un problema (sovrappeso) e voglio sbarazzarmi del problema. Per cui cambio il comportamento (mi metto a dieta) e così cambio il risultato (perdo peso). Con questo approccio non mi metto in discussione, non mi faccio grandi domande, semplicemente applico delle regole (o linee guida alimentari) per ottenere il risultato atteso. Le “regole” possono spaziare da opzioni frivole (la dieta del melone ne è un esempio!) a scelte serie come quella di farci affiancare da un professionista e seguire le linee guida che ci offre (dietista, nutrizionista, dietologo o coach nutrizionale di tipo motivazionale, ecc…).

Ma si tratta di un intervento destinato a fallire nel lungo termine poiché alimenta effetti secondari come il drop-out e la perdita di aderenza nel tempo (vedi post precedente). Alla nostra mente non piacciono le regole e le imposizioni esterne.

Intervento di livello 2 – cognitivo-trasformazionale

Un altro modo per affrontare il nostro rapporto con il cibo potrebbe essere quello di seguire il modello cognitivo-trasformazionale. Questo approccio va più in profonditá rispetto al precedente poiché mette in discussione le convinzioni limitanti della persona – quei filtri che condizionano l’osservazione (interpretazione) della realtà e che fanno parte del nostro mondo mentale – le motivazioni e i valori, concentrandosi in particolare sul PERCHÉ delle nostre azioni (perché voglio perdere peso, cambiare dieta, perché decido di mangiare o smettere di mangiare, ecc.). Questo approccio va a mettere in discussione i nostri valori e le nostre convinzioni, ciò che abbiamo acquisito dall’ambiente e dal nostro Ego.

Tuttavia, questo approccio continua a lavorare nel mondo della mente. E noi siamo più della nostra mente, più della nostra personalità …

Intervento di livello 3 (Essential Coaching): energetico-essenziale

Quando mi sono imbattuta nella proposta formativa dell’Essential Institute ho scoperto un terzo tipo di approccio, di tipo energetico-essenziale. In un processo di Essential Coaching le domande sono “agitatrici di coscienza” (espressione coniata da Jade Salvador). Hanno lo scopo di interrogarci più a fondo, avvicinandoci alla motivazione esistenziale, anche nella relazione col cibo.

È un approccio che mira a riconoscere l’Ego, quel personaggio che ognuno di noi si è costruito su misura sin dalla tenera età per sopravvivere all’ambiente esterno e che, seppur di utilità in queste età e contesti, ci limita per il resto della vita. È un approccio mirato a trascendere il personaggio egoico che ognuno riveste, per vivere in modo più completo, più integrato e più in pace con noi stessi.

Il processo di Essential Coaching implica necessariamente consapevolezza e responsabilità. Perché quando si prende consapevolezza, non dico che si risolvano automaticamente le difficoltà nel vivere il rapporto con il cibo, ma di certo non si può tornare ad agire automaticamente come prima.

Rendendoci consapevoli ci rendiamo liberi.

Liberi di scegliere un nuovo modo di alimentarci.

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Da tempo abbiamo «chiuso il naso ed elevato la mente»

Alla fame mentale sono solita definirla il “gran despota sconosciuto” perché nella mia esperienza di vita e come coach nutrizionale ho potuto comprovare che nel nostro contesto socioculturale é la fame che piú comanda le scelte a tavola. Quel tipo di fame che nasce nella mente e si alimenta di informazioni.

Tuttavia, spesso non siamo affatto consapevoli di quanto influenzi le nostre abitudini alimentari.

Proprio come ha detto magistralmente il giornalista Michael Pollan:

“Abbiamo imparato a scegliere i nostri alimenti in base ai numeri (calorie, carboidrati, grassi, indennità giornaliera raccomandata e altri), basandoci più sulla nostra capacità intellettuale che sui sensi”

Poche persone oggi mangiano prestando attenzione all’esperienza sensoriale associata a ogni pasto – odori, sapori, consistenze, suoni (sì … suoni! Come il rumore della crosta croccante del pane che si rompe tra le nostre mani, o del succo d’arancia che “cade” in un bicchiere dalla bottiglia). Ancor meno ci lasciamo guidare dall’ascolto interno, cioè dalle sensazioni fisiche e segnali di fame del corpo (pienezza stomacale, sazietá cellulare..).

Abbiamo perso il contatto con i nostri sensi e con il nostro corpo.

Molti di noi viviamo di più nelle idee della mente che nell’esperienza diretta del mondo interno ed esterno.

Di conseguenza, il nostro atto di mangiare non è più guidato dalla fame fisiologica o dalla fame sensoriale.

A chi non é mai successo di mangiare deglutendo quasi senza masticare anchi alimenti, confondendo il momento del pasto con il momento opportuno per rispondere a whatsapp, scrivere e-mail, guardare la TV, fare riunioni con i colleghi?

Identikit della fame mentale

«Oggi ho introdotto troppe calorie»

«Dovrei mangiare più proteine»

«NON dovrei mangiare carboidrati»

«L’uovo è cattivo … contiene troppo colesterolo»

«La frutta è buona, anche se le banane non dovrebbero essere mangiate perché troppo zuccherine»

L’elenco delle frasi tipiche della fame mentale sarebbe lungo..

La fame mentale si basa sui pensieri. La maggior parte di essi esprime idee estreme e dicotomiche (cibo buono / cattivo, tutto / niente), giudizi invalidanti verso noi stessi o un cibo in particolare. E tutti i pensieri della fame mentale provengono da informazioni, regole, linee guida che introiettiamo dall’ambiente esterno e ci imponiamo.

La fame mentale è pertanto molto influenzata dal contesto in cui viviamo e da ciò che assorbiamo da esso (ciò che leggiamo, ascoltiamo, studiamo …). Ad esempio, i nostri concetti su ciò che è appropriato o inappropriato da mangiare sono condizionati dai criteri estetici del nostro tempo e della nostra società, dalla moda del momento, da ciò che dicono le riviste o le societá scientifiche in un dato momento (eh sí, perché anche la scienza dice e si contraddice spesso nel campo della dietetica). Anche i commenti di amici o semplici conoscenti possono alimentare e influenzare la nostra fame mentale.

Le conseguenze del dispotismo mentale

Più ci vietiamo specifici alimenti o abitudini alimentari, più rafforziamo la rigidità e la durezza con cui il nostro critico interno ci parla. Più diamo voce a questo personaggio interiore e gli lasciamo prendere il rigido controllo dei nostri comportamenti alimentari, più le altre parti di noi (le altre sub-personalitá che ci compongono, per definirle in altro modo) si sentono non riconosciute e iniziano a soffrire … fino a ribellarsi al dispotismo della fame mentale.

Non sorprende che così tanto controllo mentale generi o ripeta il circolo vizioso dell’alimentazione ansiosa e emotiva, perché limitando le nostre scelte alimentari in modo rigido e senza contatto con le sensazioni del corpo ci rende emotivamente più sensibili a quei cibi o abitudini “proibiti”.

E ci allontana da un’alimentazione sana, equilibrata e consapevole.

I 3 passi per tornare al benessere

 

1-Diventare consapevoli é diventare liberi

Il primo passo per ridurre l’influsso della nostra mente sulla nostra alimentazione passa proprio attraverso la presa di coscienza.  Coscienza dei pensieri, dei giudizi che proliferano nella nostra mente intorno all’alimentazione, senza identificarci con essi. Ad esempio, soprattutto durante pranzi o cene “sociali” (buffet, pranzi di lavoro o di famiglia, celebrazioni speciali ecc..) in cui non sei in grado di scegliere / controllare ció che mangi, osserva

Che tipo di pensieri sorgono nel tuo dialogo interno? Ti vengono pensieri critici nei confronti di certi alimenti (cibo buono / cattivo, calorico, che fa ingrassare, pesante etc..)?

Per caso ti sorprendi a contare calorie o controllare la quantitá di carboidrati che stai introducendo durante il pasto?

Appaiono giudizi, paure o viceversa pensieri indulgenti e allettanti che ti spingono a goderti il cibo silenziando eventuali sensi di colpa?

O forse appare un mix di pensieri contrastanti?

Conoscere e riconoscere la complessità della nostra mente ci aiuta a diventare consapevoli di come ci trattiamo.

2-Scegliere in libertà come vogliamo trattarci

Il secondo passo è scegliere consapevolmente come vogliamo parlare a noi stessi. Osservare il nostro dialogo interno rivela se ci stiamo esigendo un regime alimentare “militare” e se è davvero così vogliamo trattarci.

Questo è un passo imprescindibile verso la libertà e la cura di noi stessi.

3-Abitare il corpo

Il terzo passo è tornare a dare ascolto al corpo. Per ritrovare il contatto con la sensazione di fame fisiologica e differenziarla dagli altri tipi di fame che possiamo sperimentare, è essenziale uscire dalla mente e tornare ad “abitare” il corpo, connettersi con la respirazione e le sensazioni fisiche.

Sono infatti questi preziosi punti di ancoraggio al momento presente per uscire dalle chiacchiere della fame mentale.

Leggi anche Slow Eating: la base dell’Alimentazione Consapevole

I miei workshops di Alimentazione consapevole – Nutrizione piena

Nei miei seminari di gruppo e nell’accompagnamento individuale, poniamo grande enfasi sulla fame mentale. L’obiettivo dello spazio di esplorazione che evoco è osservare la fame mentale e il coro di voci interne che spesso ci parlano con eccessiva domanda e durezza. Ci alleniamo insieme per riconoscere i circoli viziosi della mente. Il giudice interno che ci critica incessantemente. Il perfezionista interno che confronta il nostro comportamento con delle situazioni ideali e perfette… e ci mantiene frustrati e infelici.

Una volta riconosciuti questi meccanismi della mente, impariamo a riprendere il controllo, dialogare con questi personaggi interni, rendere la nostra posizione più flessibile, darci più empatia e cura. E, molto importante, impariamo a “scendere” al corpo per ridurre la frenesia della mente.

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Pillole di saggezza …

“Crediamo che essere” persone normali “equivale ad essere in continua allerta per il cibo, che dobbiamo essere terrorizzati dal cioccolato e dalla panna, convinti che se riuscissimo a gestire “quella feroce fame interiore” raggiungeremmo l’armonia. Da qui attingiamo che in molte occasioni mangiare diventa una metafora tra il modo in cui viviamo e il modo in cui gestiamo le nostre emozioni. ”(R. Aldana)

Il periodo delle feste natalizie ci ha dato l’opportunità di stare piú tempo a tavola. Ora é tempo di mantenere quanto appreso, imparare a fermarci e osservare i nostri comportamenti automatici a tavola, di espandere lo spazio della coscienza verso ciò che realmente ci nutre in questi momenti di festa e ritrovo e di recuperare l’aspetto ritualistico del mangiare e dell’alimentazione sensoriale.

In questo post riassumo le riflessioni scaturite nel corso del programma radiofonico “Con consapevolezza a tavola” a cui partecipai poche settimane fa, programma , ​​diretto da Cris Bolívar dell’Essential Institute e condotto da Lorelis Cova dedicato allo sviluppo personale, la saggezza e la riconciliazione con la propria essenza.

In particolare l’ultima sezione del programma – SaggiaMente a tavola: la chiamata all’azione – proponeva 3 semplici azioni consapevoli da compiere a tavola. Il motto di questo spazio fu “Fermati e osserva”:

  1. Prima di mangiare: fai attenzione e goditi ciò che “condisce” in modo invisibile i tuoi pasti e che ti nutre, oltre i bisogni fisiologici del tuo corpo. Ad esempio, approfitta delle mangiate natalizie per prendere coscienza e onorare la bellezza della tavola imbandita, i profumi che emana, il tempo e le attenzioni che lo/a “chef” di turno ha dedicato per preparare il cibo, l’amore in ogni piatto e l’importanza di condividere il rituale della tavola con i tuoi cari.
  2. Per un minuto, all’inizio di ciascun pasto: fai attenzione ai sapori degli alimenti, a come si mescolano tra loro, la loro consistenza, come diventano quasi liquidi in bocca se mastichi bene…
  3. Alla fine di ogni portata, prima di scegliere se ripetere o smettere di mangiare: presta attenzione a come si sente il tuo corpo, se senti pesantezza o leggerezza, energia o sopore, e quanto è pieno lo stomaco.

Con un pizzico in piú di consapevolezza a tavola forse ti sorprenderai a mangiar meno!

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Respirazione consapevole

Le forme di nutrirsi sono molte ma molte di esse non vengono riconosciute come tali e pertanto, ahimé, trascurate.

La respirazione (il processo di scambio di ossigeno e biossido di carbonio tra l’ambiente e il sangue) è il processo nutritivo piú essenziale e forse meno apprezzato nella nostra vita frenetica, imprescindibile non solo per la sopravvivenza ma anche per mantenere il proprio benessere psicofisico.

Respirare profundamente significa permettere all’organismo di ossigenarsi adeguatamente e ottenere così la massima energia dal cibo, favorire l’equilibrio e la salute fisica ed emozionale.

Infatti una respirazione profonda (diaframmatica o addominale):

  • Promuove l’ossigenazione del sangue
  • Garantisce una migliore ventilazione, assorbimento di ossigeno e pulizia dei polmoni con espirazione.
  • Stimola il movimento del cuore e aiuta a migliorare la circolazione
  • Assiste il transito intestinale
  • Promuove il rilassamento

Ma… la respirazione profonda non sembra essere una priorità tra gli adulti delle societá occidentali. Come mai?

A ogni stato psicofisico corrisponde un diverso modello respiratorio

La forma di respirare associata a stati di stress, ansia, nervosismo o altri disagi fisico o emozionali è superficiale, aritmica e poco frequente. Respirare meno profondamente (“trattenere il respiro”) è una reazione che spesso inneschiamo involontariamente al fine di attutire delle emozioni o sensazioni fisiche sgradevoli, per mettere a tacere un dolore che se vissuto al 100% potrebbe sovrastarci.

La respirazione più frequente tra gli adulti delle societá occidentali è proprio quella superficiale, il che comporta l’ispirazione di una quantità d’aria sub-ottimale. Si tratta infatti di una respirazione generalmente clavicolare o al massimo toracica, ma non addominale (il diaframma non si contrae suficientemente come per “gonfiare” pienamente l’addome). Respiriamo superficialmente per sopravvivere e non sentire  (e ahimé non vivere) troppo.

Osservare il nostro modo di respirare ci fornisce molte informazioni su noi stessi e sul nostro attuale momento di vita. Ci aiuta a capire se invece di fermare lo stress … lo stress ci attanaglia (e con noi anche il nostro diaframma…sigh..). Ci invita a riflettere se nutriamo e ossigeniamo abbastanza il nostro corpo, se stiamo vivendo pienamente o se al contrario non riusciamo ad accettare ciò che accade nella nostra vita in ogni momento.

Sia nei processi individuali di Coaching per l’Alimentazione che nei programmi di gruppo di Mindful Eating (Alimentazione Consapevole), poniamo uno speciale focus di attenzione sulla respirazione. Attraverso semplici momenti di autoosservazione e riflessione condivisa, prendiamo consapevolezza di qual é il nostro modello piú frequente di respirazione, e quindi di vivere. Senza voler inizialmente cambiare né forzare nulla, impariamo pian piano a conoscerci di piú, a riposare la mente per liberare il corpo da tensioni ormai automatiche e incoscienti, smettendo di lasciare nelle mani di un pilota automatico uno dei processi di nutrizione piú importanti per la nostra vita e il nostro benessere.

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La nostra bocca “registra” di aver mangiato qualcosa quando partecipa attivamente al processo, non semplicemente deglutendo, per questo una buona parte del piacere di mangiare deriva dalla masticazione. In questo articolo descrivo i vantaggi dello Slow Eating (mangiare lentamente), principale pilastro su cui si appoggia l’Alimentazione Consapevole e condivido alcuni facili accorgimenti utili per allenarsi a rallentare il ritmo a tavola, seguendo le indicazioni della grande maestra Zen e mia diretta insegnante Jan Chosen Bays, autrice del libro Mindful eating : a guide to rediscovering a healthy and joyful relationship with food.

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Alimentazione e stress

Come descrive Marc David nel libro The slow down diet, mangiare cibi sani è solo metà dell’equazione di una buona alimentazione: l’altra metà dipende da se stiamo mangiando sotto stress, o se al contrario ci troviamo in un stato psicofisico ideale per digerire e assimilare gli alimenti. La vitamina T (di «Tempo») da dedicare ai pasti è un supernutriente essenziale per gustare il cibo e favorire una corretta digestione.

Mangiare cibi sani è solo metà dell’equazione di una buona alimentazione: l’altra metà dipende dal livello di stress presente nella nostra vita e a tavola.

Mangi velocemente o lentamente?

Se hai risposto “lentamente”, mi congratulo con te. Se invece pensi di essere lontano dal mangiare lento e magari condisci con un pizzico di stress la tua esperienza alimentare…varrebbe la pena di prestare attenzione a come mangi prima ancora di cosa mangi.

L’abitudine di mangiare in fretta non è che una delle tante scomode eredità della nostra cultura, innamorata della velocità. Mangiare sotto stress non è solo comune, spesso sembra essere un vero e proprio “requisito sociale” necessario per mantenere un lavoro, una famiglia organizzata, una vita al passo con i tempi.

Bisognerebbe però fermarsi un attimo a riflettere se i ritmi moderni siano realmente imposti o se siamo noi ad auto-imporci quotidianamente dosi di stress inutili e dannose. Anche a tavola.

Quando lo stress é “fisiologico”

La risposta dello stress è un fenomeno fisiologico complesso e funzionale: si tratta di un meccanismo di sicurezza perfezionato nel corso della nostra storia evolutiva inizialmente finalizzato a garantire la sopravvivenza in situazioni di pericolo per la vita.

In una situazione di reale pericolo (un agente aggressore, un disastro naturale, un incidente che mette improvvisamente a rischio la nostra incolumità), l’organismo attiva una serie di cambi metabolici espressamente diretti a garantire la sopravvivenza e massimizzare l’efficienza delle due possibili risposte al pericolo: lottare o fuggire. Quando la risposta allo stress è attivata, aumentano i livelli ematici di ormoni che aiutano a fornire energia immediata per la lotta o fuga (adrenalina, noradrenalina, cortisolo), la frequenza cardiaca accelera, la pressione arteriosa aumenta, la respirazione diventa più veloce e meno profonda e il flusso sanguigno viene deviato dal centro del corpo al cervello (per pensare rapidamente) e agli arti inferiori e superiori, per avere energia disponibile per combattere o fuggire.

Ha quindi tutto il senso del mondo che in un momento percepito come di pericolo e lotta per la sopravvivenza l’organismo non sprechi energia nel digerire la colazione o il pranzo!

Stress disfunzionale: allarme permanente

Il problema arriva quando viviamo letteralmente in uno stato di allarme permanente e in assenza di un reale pericolo di vita, sottoponendo il corpo a uno stato di stress cronico di basso livello.

Credo che sia successo a tanti di mordicchiare il ciambellone e buttar giù il caffelatte a grandi sorsate mentre ci vestiamo e ci prepariamo in fretta a uscire per evitare di arrivare tardi al lavoro, o di consumare un pranzo in fretta di fronte al computer, sopraffatti dal lavoro, o di mangiare mentre mentalmente rivediamo tutte le cose da fare nella giornata e pensiamo a tutt’altro fuorché al cibo che stiamo ingerendo. O di cenare arrabbiati per una discussione avuta poco prima con il nostro partner o i nostri figli, rimuginando e nutrendo la rabbia invece di lasciarla andare e dedicarci al piacere di mangiare.

In questi momenti di stress, il corpo non ha la minima idea di cosa stia realmente succedendo, e ancor meno la capacità di comprendere che non c’è nessun reale pericolo di vita o di morte: dal momento in cui il cervello percepisce lo stress, e in base alla sua intensità, i ​​vari cambiamenti fisiologici che garantiscono le risposte di lotta o fuga vengono comunque attivati, compreso un certo blocco digestivo.

Non c’è quindi da stupirsi se quando si mangia in uno stato di ansia o stress si possono presentare  sintomi come bruciore di stomaco, gas, coliche o crampi, stanchezza dopo i pasti e molti altri disturbi digestivi cronici. Molte persone hanno la sensazione che il cibo si paralizzi nello stomaco, e questo è davvero ciò che accade finché il corpo non esce dallo stato di “pericolo” e ritorna al normale funzionamento digestivo.

La dieta della lentezza 

Darsi l’opportunità di mangiare lentamente e ritagliarsi consapevolmente un tempo per vivere ogni pasto (e la vita) in modo tranquillo è un atto compassionevole verso il proprio corpo e la mente.

Se ti sei auto-diagnosticato una carenza di vitamina T (di Tempo), il primo passo verso la cura inizia identificando qual è il pasto della giornata che consumi più velocemente, con un più alto livello di stress o con meno attenzione al cibo e all’atto di mangiare. Dopo questa fase di auto-osservazione e consapevolezza, potrai sperimentare un nuovo modo di vivere l’esperienza del mangiare: regalandoti tempo a ogni pasto, cercando un contesto più piacevole e confortevole, godendo di una pausa preziosa dal ritmo quotidiano.

Ad esempio, se di solito fai colazione in cinque minuti, in piedi mentre ti vesti o rispondi alle prime e-mail del giorno, scopri come ti senti a fare colazione prendendoti dieci minuti di tempo invece di cinque, sedendoti a tavola con la schiena appoggiata allo schienale della sedia, respirando tra un boccone e l’altro e concentrando la tua attenzione su nient’altro che il cibo.

Aumentare il tempo trascorso a pranzo o a cena può richiedere una maggiore riorganizzazione degli orari e delle attività quotidiane e un certo grado di collaborazione da parte del proprio contesto famigliare o professionale. Ma anche in questo caso, li cambio di abitudini è possibile: una strategia potrebbe essere quella di condividere la propria intenzione di aumentare i livelli di vitamina T con familiari, collaboratori o manager, per trovare complici incuriositi e altrettanto motivati e rendere l’ambiente facilitante prima di passare all’azione.

Trasformare in meglio il proprio stile di vita è fatto di questi piccoli passi, ripetuti giornalmente e ben assestati, affinché il cambio sia gradevole e duraturo. Gli effetti di un trattamento a base di vitamina T saranno notati ben presto sia nel corpo che nello spirito. Sperimentare per credere.

Spunti bibliografici:

Marc David. The Slow Down Diet: Eating for Pleasure, Energy, and Weight Loss.

Sara TulipaniPhD

Life Coach specializzata in cambi di alimentazione e stile di vita

Dottorato di Ricerca in Alimenti e Salute

Master Internazionale in Nutrizione e Dietetica – FUNIBER

www.saratulipani.com

info@saratulipani.com

 

Lifestyle CoachingIl Coaching per l’alimentazione e lo stile di vita (Lifestyle Coaching) va oltre la prescrizione dietetica e si propone di accompagnare la persona in un processo di cambiamento dello stile di vita che sia sostenibile nel tempo.

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Coaching nutrizionale

Cambiare stile di vita per acquisire abitudini più salutari non è affatto semplice. Affinché il cambio sia profondo e duraturo deve partire da dentro, attraverso la presa di coscienza della persona dei meccanismi spesso automatici che la spingono ad agire in un certo modo a tavola, o in momenti chiave della giornata.

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