In questo post condivido le riflessioni emerse dalla mia partecipazione al I Incontro Internazionale di Essential Coaching con un intervento intitolato “Chi si siede a tavola? Lo sguardo rivolto all’essenzialitá nella relazione con il cibo” (video sottotitolato in italiano disponibile sul mio canale Youtube).
L’alimentazione è un aspetto fondamentale della vita e per la vita. Ci accompagna durante la vita dal momento 0 (con il primo allattamento da neonati) e incluso da ancor prima (nutrizione intrauterina) e non possiamo sfuggire a questo aspetto della vita nemmeno nei giorni di digiuno.
Il nostro modo di alimentarci – ciò che io chiamo la propria Biografia Alimentare – ha molto da raccontarci su noi stessi. Ci parla di come ci trattiamo, di come ci prendiamo cura di noi stessi o di come ci trascuriamo, di ciò che ci permettiamo e ciò che non ci permettiamo di essere. Di ciò di cui abbiamo paura e di ciò di cui abbiamo fame davvero.
Da ciò nasce l’importanza e la ricchezza di avvicinarci al nostro rapporto col cibo attraverso uno sguardo profondo, integrativo e rivelatore di aspetti occulti, come quello proposto dall’Essential Coaching.
Domande “essenziali”
Dato che si trattava di un incontro sul Coaching [e il Coaching vive di domande!] decisi di non fare un discorso con idee preconcette già masticate da me. Invitai gli ascoltatori a rivolgere la loro attenzione su se stessi, lasciarsi toccare dalle domande che avrei condiviso e a osservare le risposte che sorgevano loro. Condivido qui le stesse domande invitando il lettore all’esperienza di osservare le proprie risposte, senza giudicarsi, e prendere atto di ciò che scopre di se stesso.
Prima di metterti a tavola, di solito:
Ti domandi “Ho fame?”
Ti consulti con te stesso per verificare se e quanto sei affamato?
O inizi a mangiare automaticamente?
Ti capita spesso di chiedertelo o non ti poni domande così basilari?
Come mai?
Continua a osservarti:
Quando ti chiedi “Sono affamato?” Dove vai a cercare la risposta? Dove cerchi la fame?
Forse per te, la fame si manifesta come una sensazione fisica – cioè, la cerchi nel corpo: magari nello stomaco, o nella gola, o forse la noti attraverso un aumento della salivazione in bocca. O forse la fame per te è un concetto, e la cerchi nella mente …
Cosa ti dice di te ciò che hai appena osservato?
In che misura abiti il tuo corpo?
Quanto, al contrario, vivi nella tua testa?
Altre domande:
Di cosa hai fame?
Molte volte la fame è un indicatore di altre necessità che non sfamiamo abbastanza. Per questo motivo può capitare di confondere per fame fisiologica la necessità di soddisfare altri bisogni, come il bisogno di amore, di connessione con gli altri, di allegria (fame emotiva), il bisogno di sapere e conoscenza (fame mentale), di bellezza (fame visiva), di profumi (fame olfattiva), giusto per fare qualche esempio. Approfondire i diversi livelli di nutrizione di cui abbiamo bisogno e iniziare a discernere di cosa siamo realmente affamati è un passo fondamentale per non saziare altre carenze attraverso un eccesso di alimentazione.
Non si tratta quindi di mettersi semplicemente a dieta, si tratta di capire cosa si vuole mitigare mangiando di più.
E infine:
Sei consapevole dei pensieri che nascono nella tua mente in relazione al cibo?
Se sì, cosa ti dici?
Possono essere giudizi, pensieri indulgenti o anche entrambe le cose contemporaneamente, in un dialogo interno a più voci.
[Esempi … “Non so resistere al cibo, sono troppo golos@” , “se inizio a mangiare mangerò tutto”, “ho bisogno di dieta perché sennò perdo il controllo sul cibo”, o “il cibo a me non interessa, io sono molto intellettuale”, “io sono così, io sono colà” ecc…].
Conoscere e riconoscere la complessità del nostro Io interiore, identificare il dialogo di voci e pensieri che ci assalgono più frequentemente intorno al cibo ci aiuta a saperne di più e a sbarazzarci di modelli che ripetiamo automaticamente e incoscientemente ogni giorno. Il nostro cibo non è niente di più o niente di meno che il riflesso del nostro modo di vivere (teoria dei frattali).
I 3 livelli di intervento nutrizionale
Dove voglio arrivare con tutte queste domande?
Sappiamo tutti che nel mondo occidentale il rapporto col cibo si è andato viziando, che siamo più “cicciottelli” che mai (in termini di popolazione) e che ciò incide negativamente sulla nostra salute. Ma diversi sono gli approcci per affrontare uno stesso tema.
Intervento di primo livello: conduttuale-comportamentale
Un modo per affrontare il problema, oggigiorno il più comune ma anche il più superficiale e con scarsi risultati nel lungo percorso, è l’intervento di tipo conduttuale-comportamentale che riassumerei così:
Ho un problema (sovrappeso) e voglio sbarazzarmi del problema. Per cui cambio il comportamento (mi metto a dieta) e così cambio il risultato (perdo peso). Con questo approccio non mi metto in discussione, non mi faccio grandi domande, semplicemente applico delle regole (o linee guida alimentari) per ottenere il risultato atteso. Le “regole” possono spaziare da opzioni frivole (la dieta del melone ne è un esempio!) a scelte serie come quella di farci affiancare da un professionista e seguire le linee guida che ci offre (dietista, nutrizionista, dietologo o coach nutrizionale di tipo motivazionale, ecc…).
Ma si tratta di un intervento destinato a fallire nel lungo termine poiché alimenta effetti secondari come il drop-out e la perdita di aderenza nel tempo (vedi post precedente). Alla nostra mente non piacciono le regole e le imposizioni esterne.
Intervento di livello 2 – cognitivo-trasformazionale
Un altro modo per affrontare il nostro rapporto con il cibo potrebbe essere quello di seguire il modello cognitivo-trasformazionale. Questo approccio va più in profonditá rispetto al precedente poiché mette in discussione le convinzioni limitanti della persona – quei filtri che condizionano l’osservazione (interpretazione) della realtà e che fanno parte del nostro mondo mentale – le motivazioni e i valori, concentrandosi in particolare sul PERCHÉ delle nostre azioni (perché voglio perdere peso, cambiare dieta, perché decido di mangiare o smettere di mangiare, ecc.). Questo approccio va a mettere in discussione i nostri valori e le nostre convinzioni, ciò che abbiamo acquisito dall’ambiente e dal nostro Ego.
Tuttavia, questo approccio continua a lavorare nel mondo della mente. E noi siamo più della nostra mente, più della nostra personalità …
Intervento di livello 3 (Essential Coaching): energetico-essenziale
Quando mi sono imbattuta nella proposta formativa dell’Essential Institute ho scoperto un terzo tipo di approccio, di tipo energetico-essenziale. In un processo di Essential Coaching le domande sono “agitatrici di coscienza” (espressione coniata da Jade Salvador). Hanno lo scopo di interrogarci più a fondo, avvicinandoci alla motivazione esistenziale, anche nella relazione col cibo.
È un approccio che mira a riconoscere l’Ego, quel personaggio che ognuno di noi si è costruito su misura sin dalla tenera età per sopravvivere all’ambiente esterno e che, seppur di utilità in queste età e contesti, ci limita per il resto della vita. È un approccio mirato a trascendere il personaggio egoico che ognuno riveste, per vivere in modo più completo, più integrato e più in pace con noi stessi.
Il processo di Essential Coaching implica necessariamente consapevolezza e responsabilità. Perché quando si prende consapevolezza, non dico che si risolvano automaticamente le difficoltà nel vivere il rapporto con il cibo, ma di certo non si può tornare ad agire automaticamente come prima.
Rendendoci consapevoli ci rendiamo liberi.
Liberi di scegliere un nuovo modo di alimentarci.
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